Another brick in the wall – Una storia italiana

Credo di aver cantato a squarciagola per tutta l’adolescenza Another Brick in the Wall dei Pink Floyd. Certo, a volte si intromettevano Wish you were here, o i Queen, o i Rolling Stones e i Nirvana, ma le parole di Roger Waters erano come un mantra. 

We don’t need no thought control

Lasciateci liberi di pensare. Il coro dei ragazzi era una incarnazione di scontro generazionale perfetto, una dichiarazione di intenti. Che senso ha, in effetti, imporre uno stereotipo di pensiero a delle menti che si stanno formando, che stanno conoscendo il mondo?

L’armata del pensiero conformato che si muove nelle prime scene del video di Another Brick in The Wall è inquietante. Non tanto nella sua ridondante marcia, quanto nel passo severo e tronfio di chi sta sempre con la ragione e mai col torto, come diceva qualcuno. Non sia mai che il confronto con una mente libera da stereotipi e convenzioni inculcate a suon di sermoni e lezioni possa mettere in crisi il sistema, solo per avere osato chiedere il perché, o per il desiderio di volere qualcosa di diverso. 

Another Brick in the Wall, dicevamo, anno 1979.

Dove siamo arrivati, oggi, anno 2019?

A Rosa Maria dell’Aria, una donna che la canzone dei Pink Floyd deve averla ascoltata parecchie volte. Un’insegnante che è salita agli onori delle cronache recenti per avere osato compiere un gesto inconcepibile: lasciare libertà d’espressione ai propri alunni. 

Tutto nasce quando ai ragazzi di un istituto scolastico palermitano viene chiesto di elaborare il proprio pensiero in merito alle leggi razziali e all’attuale legislazione italiana, con riferimento particolare al decreto sicurezza. Sono bastate due slide, in cui si crea un parallelo tra ieri e oggi, per mandare su tutte le furie i sovranisti nazionali che hanno ravvisato nell’operato della docente i chiari segni del pensiero radical-chic sobillatore, concreta minaccia alla sicurezza nazionale. 

Due Slide.

Che se davvero bastano due slide a depistare le menti dei ragazzi di oggi, allora dovremmo anzitutto chiederci cosa abbiamo fatto noi delle generazioni precedenti per rovinarli a tal punto. 

Due slide

Due immagini sono sufficienti a giudicare un intero progetto. Un’iniziativa che mira a far crescere il senso critico nei giovani, che vuole stimolarli a riflettere ed esprimersi secondo le proprie idee, a maturare una propria identità trasversale che un giorno potrebbe dare nuovo corso alla nostra società. 

Anziché approfondire il perché di questo pensiero, si è scelto di reprimerlo. 

Ma non si può condannare una manica di ragazzini, le idee si colpiscono nei simboli. Le idee si stroncano colpendole sul nascere, fermando chi le alimenta. E quindi, dopo i tweet sdegnati di un militante di Casa Pound  di Monza rivolti al ministero dell’Istruzione, la conclusione era una sola: sospendiamo quella scheggia impazzita dell’insegnante. 

Perché una volta visto il lavoro dei suoi ragazzi, la professoressa dell’Aria avrebbe dovuto cassare le loro idee, ricondurli a più miti consigli. 

Ovviamente, solo perché ci si è limitati a valutare l’idea dei ragazzi da due slide. Nessuno ha chiesto loro nulla, non ci sono stati incontri per domandare i motivi e le idee dietro questo progetto scolastico. Progetto nato grazie ad un percorso di sensibilizzazione dei giovani studenti, che passa dalla Giornata del Migrante al Giorno della Memoria, che affronta temi delicati come le leggi razziali del 1938 ma che si sviluppa sino a paragonare la Conferenza di Evian (nata per stabilire le quote di accoglienza dei profughi ebrei dalla minaccia nazista) al vertice di Innsbruck, dove si parlava di quote accoglienza per i migranti. 

Ma senza nessuna informazione, se non lo sdegno mediatico nato da un tweet, rincalzato da una lamentela della leghista Lucia Borgonzoni (sottosegretario ai Beni Culturali, tanto per dire), ecco che arriva la sospensione per l’insegnante che ha, con giusto orgoglio, mostrato il lavoro dei propri allievi. Allievi da lei plagiati, secondo l’accusa.

Assurdo? Al contrario, è logico. 

Quando vedi che il pensiero indipendente ha il coraggio di esprimersi, andando contro ad una classe dirigente che, invece, crede fermamente nel pensiero unico, dove l’altra parte deve esser ridicolizzata e sminuita, puoi solo che condannarlo, arginarlo. 

L’orrore, però, è che nel compiere questa bruttura, si siano colpiti i ragazzi. 

La professoressa non è una vittima, attenzione, ma uno strumento. 

Punirne una per educarne mille. 

Colpendo la dell’Aria si vuole imporre una lezione secca ai ragazzi: la tua opinione è libera, purché approvata. 

Non bastano i Pink Floyd, qui ci vorrebbero anche Orwell e Moore. I ragazzi sono il vero bersaglio di questa repressione, perpetrata da una politica troppo spaventata dall’ansia di essere demonizzata da nuovi liberi pensatori, per ricordare loro che a furia di opprimere si creano ancora più oppositori. 

La storia insegna, ma certa gente vede la scuola non come luogo di apprendimento e formazione, bensì come un’essenziale tappa di un percorso di indottrinamento, in cui il pensiero indipendente deve esser addomesticato, soffocato. 

All you want is just another brick in the wall

A poco servono le tardive manifestazioni di dialogo e le accuse di incomprensioni, il volersi mostrare comprensivi con la professoressa dell’Aria. Le foto di incontri con Salvini e rappresentati delle istituzioni sono forse l’aspetto più irritante dell’intera vicenda. 

La preoccupazione non dovrebbe per la sospensione dell’insegnante, quanto per il clima in cui viviamo, in cui basta un tweet, la ventilata idea di esser un sovversivo per venire subito ritenuto colpevole e punito. Al massimo arriveranno le scuse, e tutto a posto, non è successo nulla. 

Sino alla prossima slide. 

Abbiamo un dovere verso i nostri ragazzi, dobbiamo consentire loro di esprimere idee originali, confrontarci con loro e creare un rapporto paritario di sano dialogo. Non sono gli anni a stabilire chi ha ragione, sono le idee che si rapportano, il non porre un limite alla libertà di esprimersi. 

Abbiamo già abbastanza muri che ci separano, non ci servono altri mattoni. 

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