Le pasionarie ambientaliste in Russia hanno vita brevissima.
Da quando nel 2012 è entrata ufficialmente in vigore la Legge che bolla come «Agente Straniera» qualsiasi ONG non approvata dal Ministero della Giustizia, castigandola attraverso more salatissime, ostracismo o addirittura centri provvisori di detenzione (vedi i trenta attivisti di Greenpeace che nel 2013 protestarono sulla piattaforma petrolifera artica della Gazprom), le lotte per la salvaguardia dello stato di salute del nostro Pianeta, sono diminuite drasticamente.
Il regime putiniano sembra in particolar modo concentrarsi su un disintegro sistematico delle donne attiviste che cercano strenuamente di difendere l’etica collettiva a dispetto della corruzione statale (per citarne due: Maria Chernova che ha documentato come l’abbattimento illegale nella provincia di Irkutsk sia stato effettuato con la connivenza, se non l’approvazione all’ingrosso, della polizia locale e Yevgeniya Chirikova e le sue campagne contro la costruzione di una strada attraverso la foresta di Khimki)
All’esilio è stata costretta per quindici anni Svetlana Aleksievič, giornalista e scrittrice bielorussa, insignita del premio Nobel per la Letteratura nel 2015 per i suoi romanzi documentaristi polifonici che raccolgono, alla stregua di una sinfonia, migliaia di voci e suoni (vi consigliamo vivamente di leggere i suoi libri, da “La guerra non ha un volto di donna” a “Preghiera per Černobyl’”, cuciti sulle testimonianze in presa diretta delle donne combattenti al fronte durante la seconda guerra mondiale l’uno e sulle storie quotidiane seguite allo scoppio del disastro nucleare dell’86 l’altro).
Il terrorismo psicologico nei confronti di queste donne-coraggio che tentano di spaccare il connivente abbrutimento è così affilato da passare anche attraverso minacce legali di sottrazione dei propri figli o diffamazioni e burle mediatiche (i programmi serali di Segodnya di solito mandano in onda fake news su improbabili festini che le nostre organizzerebbero, rigorosamente in bikini, a spese dei contribuenti) com’è successo a Nadezhda Kutepova.
Ed è proprio a Nadezhda Kutepova che, oggi, Pankhurst vuole rendere omaggio.
E’ stato il documentario “City 40” della regista Samira Goetschel che ce l’ha fatta conoscere.
È nata nel 1972 a Ozërsk, a 18.000 km da Mosca, e fino al 1993 la sua città non compariva in nessuna mappa. Da bambina Nadezhda è affascinata dalle atmosfere europee di Ozërsk, il fiume Techa si dispiega fin quasi alle panchine di legno dei verdissimi parchi, le piazze brillano di colori sull’ocra e sul rosso e la gente sorride come se ogni giorno fosse un festivo d’agosto.
Ha un’unica regola in famiglia: qualora uscisse per una scampagnata a Mosca, non deve indicare la sua città, se ne inventasse una di fantasia – dicono – ma mai pronunciarne a voce alta il nome, “Ozërsk”!
“Ho iniziato a pensare che ci fosse qualcosa di speciale riguardo il nostro posto, ma non sapevo esattamente cosa…”
Quando però i genitori ed i nonni ed anche numerosi vicini di casa ed amici d’infanzia muoiono improvvisamente di cancro, il velo di Maya di Nadezhda si squarcia. Come prima cosa si rende conto che da Ozërsk è sempre più difficile ottenere permessi per uscire dai cancelli e che i giri di filo spinato attorno alle mura s’ingrossano di giorno in giorno.
“Puoi immaginare la città chiusa come una bottiglia di vetro con un tetto e c’è una foto in giro. Le persone che sono dentro, vedono l’immagine che c’è intorno e il governo apre questa bottiglia e ti dà il cibo e poi lo chiude. Quindi siamo un po’ isolati dalla società”

Arriva alla scoperta dilaniante: Ozërsk è, così come lo era stata l’atomica Richland per gli americani, una città segreta creata nel 1947 dai sovietici per sviluppare armi nucleari in vista della Guerra Fredda.
Eretta nell’entroterra, in gran segreto, di notte, con le braccia dei carcerati, è stata da subito popolata dai cittadini più poveri col miraggio di sussidi e protezione statale e soprannominata “City 40”, per etichettare più facilmente il luogo predisposto alla presenza della prima bomba nucleare russa.
Non solamente, da 1949 al 1953, i soldati avevano riversato nel fiume Techa rifiuti radioattivi di pericolosità indescrivibile ma il 29 settembre del 1957, nella centrale nucleare di Maïak, un serbatoio, contenente quasi 80 tonnellate di rifiuto, era esploso improvvisamente, senza che nessuno ne fosse stato messo al corrente.
Gli elementi radioattivi iniziano, perciò, a diffondersi su un territorio di 23.000 chilometri quadrati (l’equivalente della Bretagna) dove vivevano 250.000 persone, un’esplosione, classificata nella scala internazionale INES a livello 6 ( Chernobyl aveva il livello 4, meglio si dice che da Maïak sia uscito 1 miliardo e 200 milioni di Curie, ovvero 22 volte il rilascio di particelle radioattive del disastro di Chernobyl) che aveva liberato in varie città radionucleidi pericolosissimi, quintali di plutonio, cesio 137 e stronzio 90.
I cittadini di Ozërsk, per lo più ignari della reale entità dell’accuduto, si ammalano in massa, nascono i primi vitellini deformati, i bambini già malati di cancro.
Al momento si contano 25.000 persone colpite dalle radiazioni e circa 14.500 ancora lavorano ancora nel complesso nucleare, che probabilmente è diventato oggi il più grande centro di stoccaggio e trattamento dei rifiuti nucleari al mondo (provenienti soprattutto dalla Finlandia).
La possibilità di uscire (o di entrare) dalla città è infinitesimale, la vigilanza militare serrata.

Nadezha, studi di sociologia e giurisprudenza, di fronte al rifiuto da parte del governo ad aprire i cancelli della sua città o anche solamente a fornire medicine appropriate ai concittadini ammalati (ai quali, tra l’altro, viene riferito che le nefaste diagnosi sono semplicemente dovute all’età che avanza) nel 1999 decide di fondare una ONG, la “Planeta Nadezhd” (“Pianeta delle Speranze”).
La “Planeta Nadezhd” avrà, per Nadia, come obiettivo quello di rappresentare le vittime di Maïak e di altre città colpite dall’inquinamento, in decine di processi nei tribunali locali, nazionali e persino di fronte alla Corte europea dei diritti dell’uomo.
La maggior parte dell’assistenza legale dell’ONG è strettamente legata alla tutela femminile, come per il diritto di risarcimento alle oltre 2.000 lavoratrici nella centrale nucleare incinte al momento dell’esplosione, donne che poi,inconsapevolmente, avevano esposto ad un bombardamento radioattivo i propri bambini durante la vita intrauterina.
Rapidamente, l’organizzazione di Nadezhda irrita il governo russo.
Nel 2004, la “Planeta Nadezhd” è sottoposta a pressioni da parte dell’FSB (il servizio di sicurezza federale della Federazione russa, successore del KGB) fino ad essere inserita nell’anno successivo nella lista «Agenti Stranieri».
Essere etichettati, cioè, come «Agenti Stranieri» per le ONG significa, secondo la legge russa, veder bloccata qualsiasi possibilità di finanziamento estero (considerato foraggiamento per un probabile spionaggio industriale) fino alla chiusura dell’attività stessa.
Alla “Planeta Nadezhd” sono di colpo sospese le sovvenzioni da “Women in Europe for a Common Future” (un’associazione presente in 50 Paesi) e dalla fondazione americana “National Endowment for Democracy” ed è costretta a pagare anche 300.000 rubli per essersi rifiutata di registrarsi come “agente straniero” fino alla liquidazione finale, la chiusura per mancanza di fondi.
“È stato molto frustrante. Speravamo che non finissimo in quella lista perché non facevamo attività politica. Provo del risentimento perché credo di aver fatto molto per la tutela dei diritti umani, per aiutare le vittime di inquinamento nucleare. (…) Mi sono sentita un traditore della gente, perché molte persone nella regione mi avevano collegata con le loro speranze di giustizia.”

Di colpo, per Nadezhda, anche la vita a Ozërsk diventa insostenibile.
I suoi cittadini, come la maggior parte delle persone che vivono in queste aree contaminate degli Urali, sono lavoratori che sopravvivono soprattutto grazie alle misere pensioncine che ha concesso loro lo Stato dopo l’esplosione della centrale e che,quindi, sostengono ancora testardamente Putin, con cieco nazionalismo o rassegnato fatalismo.
Nadezhda si ritrova di colpo osteggiata non solamente del Governo ma anche dai suoi vicini di casa, tartassata quotidianamente da scherzi telefonici e scritte a vernice spray sui muri.
Presenta diverse richieste presso gli uffici dei pubblici ministeri a Mosca e nella regione di Chelyabinsk chiedendo che si indaghi sui fatti, dal mobbing alle calunnie, ma non riceverà neanche una breve risposta.
Quando poi, ad un certo punto, da ragazza-madre subisce aperte minacce di uccisione dei suoi quattro figli o di loro affidamento coatto ad un orfanotrofio al di là di Ozërsk, decide di lasciare la città e di non tornare più indietro.
Attualmente Nadezhda Kutepova vive in Francia, in un luogo segreto, non può usare i social ed è indigente.
“Ogni giorno, quando vado a dormire, penso a Mayak… Penso ci possa essere presto un nuovo incidente nucleare, le attrezzature sono così vecchie… Oh mio Dio, ti prego, salva Mayak!”
Ed intanto, nella Grande Madre Russia, nulla è cambiato.
Anzi no: la neve! Ecco, la neve è cambiata, sì.
Ed è verde!
Ma è per delle sostanze chimiche fuoriuscite da una fabbrica di cromo a Pervouralsk, il gelo acido che preannuncia il prossimo disastro ambientale che avanza.
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We suggest the documentary “City 40”. Thank you for reading this article!
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