La portentosa setta clandestina delle pigre in cucina

Che cosa porta due professoresse universitarie, una tata, una casalinga, una ricercatrice, una tecnica di laboratorio e una bambina di otto anni che a malapena si conoscono tra loro a riunirsi, con discrezione, in una casa a tarda sera? Può succedere – giuro, pure nel 2019 – che l’occasione di questo misterioso ritrovo di insolita composizione sia la dimostrazione del funzionamento di un noto elettrodomestico tedesco presente nelle cucine di tutto il mondo dal lontano 1971. Io, che delle faccende di cucina ho sempre non soltanto capito poco ma prudentemente diffidato, decisa come sono a non farmi mai invischiare troppo nella roba ritenuta tradizionalmente da donna, per anni mi son tenuta tanto lontana dalle conversazioni sul tema che ho rischiato di perdermi la storia pazzesca che mi accingo adesso a raccontarvi.

È poi successo che, un giorno, una mia collega e amica mi abbia casualmente accennato che si era organizzata con alcune altre sue conoscenti – tutte femmine, fateci caso – per ritrovarsi in casa di una di queste ad assistere a una dimostrazione culinaria e mi abbia domandato se, essendoci ancora posto per qualcuno, per caso volessi partecipare. Io, con un certo piglio snob che a volte potrei francamente risparmiarmi, le ho subito risposto che ero grata dell’invito ma che la mia conoscenza della cucina è più o meno paragonabile a quella che ho del calcio o della fisica quantistica e che sono serenamente risoluta a restare così.

Ma allora lei mi ha spiegato che non si trattava di una dimostrazione culinaria qualsiasi, bensì di quella di un elettrodomestico fatto apposta per chi non ha voglia di cucinare – in realtà ha detto “per le donne che non hanno voglia di cucinare”, insomma, siamo intese che si tratta pur sempre di un compito da femmine che si cercherebbe casomai di eludere, non smettete di farci caso.

Mi ha poi raccontato che le dimostrazioni in casa fanno parte del particolare tipo di campagna pubblicitaria che da sempre ha caratterizzato questo miracoloso aiutante robotico, basata esclusivamente sul passaparola. Pure le ricette vengono scambiate prevalentemente mediante messaggi e gruppi WhatsApp privati tra le adepte. E qui ho cominciato ad interessarmi seriamente, ma insieme mi è sorto il timore dell’invadenza, così le ho domandato se, partecipando, mi sarei poi dovuta sorbire una fastidiosa tempesta di e-mail e telefonate pubblicitarie, al che lei mi ha assicurato che questo non sarebbe mai potuto accadere in quanto i venditori di quest’azienda ci tengono moltissimo alla discrezione. Io sono una curiosa, ragazzi, e a questo punto la connotazione subdola e cospiratoria, quasi da setta, che ai miei occhi stava prendendo la faccenda ha finito per catturarmi: la prospettiva di bere e mangiare a ufo, incidentalmente, costituiva un piacevole bonus.

È così che ho finito per infiltrarmi sotto copertura in questa riunione, decisa a fingermi intenzionata a comprare, colma di pregiudizi e di appetito. La prima prova che mi aspettava erano le domande che la giunonica e allegra rappresentante, davanti alla quale ci trovavamo sedute in cerchio, intorno al tavolo, ha rivolto a ciascuna di noi. Si trattava di quesiti volti a indagare le nostre abitudini culinarie e li ho immediatamente recepiti come vagamente accusatori. In quante sere a settimana cucinavo abitualmente, per quante persone lo facevo, si può sapere che diamine voleva insinuare quella, su di me?

Stavo quasi per crollare subito e confessare, costituirmi, parlarle del mio abuso di cibo consegnato a domicilio e consumato a tarda notte, ma per fortuna sono riuscita a tenermi perché il bello doveva ancora arrivare. “Vi piace cucinare?”, la domanda per qualche attimo è rimasta lì, come a mezz’aria, mentre una certa ritrosia pareva aver tacitato non soltanto me ma anche le mie compagne di tavolo. E poi – da una signora di una certa età, dalla quale io, a causa di un mio superficiale e un po’stupido giudizio, non me lo sarei mai aspettato – è arrivato il primo, acceso, quasi urlato “NO!”. 

Ne sono seguiti altri, compreso il mio, pronunciati in un tono più tranquillo, chiaramente sollevato. Ho cominciato a sentirmi un po’strana: forse non ero la mosca bianca della situazione che, un po’presuntuosamente, mi ero ritenuta. È pur vero che la mia amica me lo aveva detto, che non si trattava di un ritrovo per amanti della cucina, ma quel “NO” così aperto, deciso, senza vergogna mi ha colpita. Terminata l’interrogazione, cui fortunatamente non seguiva alcuna assegnazione di voti, ho appreso dal vivace discorso pubblicitario della nostra dimostratrice che non aver voglia di cucinare era proprio uno dei motivi per cui avremmo dovuto comprare il magico elettrodomestico: “Lo lasci lì a preparare la cena e intanto tu ti fai un aperitivo”, un esempio affatto casuale, in quanto sospetto che pure l’amore per l’alcool accomuni un gran numero di donne ed io di nuovo – come avevo potuto credermi tanto diversa? – non faccio eccezione.

Poi è cominciata la vera e propria dimostrazione, ovviamente fantastica, non sto qui a descrivervi nel dettaglio tutta la cena ma, dovete credermi, io davvero ho visto cose che voi umani eccetera eccetera, ho visto spicchi di frutta tramutarsi in pochi minuti in gelato, ho visto un’accozzaglia incredibile di roba fondersi  e in un attimo essere forgiata in vellutato risotto, ma soprattutto ho visto quella che, a tutti gli effetti, può esser considerata una magia: lui, il robottino, dico, alla fine, si lava da solo.

No, ragazzi, non l’ho comprato. Sono troppo tirchia per le robe casalinghe e troppo pigra anche solo per impartire ordini a un robottino. Ma quella serata mi ha cambiata dentro e ci tenevo a raccontarlo a tutte quelle che, come me un tempo, sono state ignoranti o scettiche nei confronti di tutto questo. E agli uomini che, beh, se non lo racconto loro io… come mai farebbero a sapere di tutto questo? Vi lascio con quest’ultimo spunto di riflessione, ché quella sera mi ha cambiata, sì, ma una lobotomia ancora non me l’han fatta.

(Immagine di copertina)

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