Mamme che diventano bambine – Un mostro chiamato Alzheimer

È iniziato tutto con un semplice ” lo sai ? Stamattina sono andata al supermercato e , mentre stavo tornando a casa mi sono persa.” , dal sale nel caffè, una frazione di secondo in cui lo sguardo è perso nel vuoto. Sono tua madre, anche se non me lo ricordo più, anche quando mi guardi e non sai più dove è finita la mia mente , sono io, anche se forse neanche tu sai più davvero chi sono.


La demenza di Alzheimer è una patologia che colpisce circa il 5% delle persone con più di 60 anni e , in Italia, si stimano circa 500mila ammalati. È una tra le forme più comuni di demenza senile, colpisce la memoria e le funzioni cognitive, si ripercuote sulla capacità di parlare e di pensare ma può causare anche altri problemi fra cui stati di confusione, cambiamenti di umore e disorientamento spazio-temporale.


Quando è arrivata la diagnosi di Alzheimer stentavo a crederci, la mia mamma aveva da poco compiuto 75 anni, una donna da sempre autonoma e dinamica, guidava una macchina sportiva , partiva per lunghi viaggi in solitaria e si prendeva cura, in modo perfetto, della casa e del gatto. E invece, quella mattina, quasi per caso, sono passata da lei e, non so come spiegarlo, ma fissando quei suoi profondi occhi marroni, mi è sembrata diversa, più piccola e spaventata , ma non aveva ancora perso quel senso dell’umorismo che la caratterizzava. Mi sono persa, diceva , non è successo tra gli affollati mercatini di Marrakesh , e invece mi sono ritrovata in un vicolo di Roma, e non mi sembrava di riconoscere i passi che, per settanta anni ho sempre percorso.
E così, in un battito di ciglia, mi sono ritrovata ad essere figlia, madre, assistente domestico, cuoca e confidente della mia “nuova “ mamma.


Il termine caregiver familiare fa riferimento ad una persona che assiste un proprio congiunto non in grado autonomamente di svolgere gli atti necessari alla vita quotidiana ; in Italia sono stimati dall’ISTAT in 9 milioni di persone, e si tratta al 90% di donne che, sulla falsa riga di un di un ruolo storicamente considerato femminile,si fanno carico della burocrazia, della cura, della vita e del mondo della persona malata di Alzheimer.


Su internet sono tante le esperienze che avevo letto, mamme di altri miei colleghi di lavoro, ma era tutto così distante dalla mia vita che lo immaginavo come un universo lontano, un pianeta che non riguardava me. E poi il neuropsichiatra ci ha dato quella diagnosi , che ci ha teletrasportato in una realtà assurda, fatta di post it ovunque , di nomi sbagliati, di fornelli del gas lasciati accesi. Poi, all’improvviso, in una fredda giornata di marzo, mia madre è sparita.
Il telefono in bella vista sul tavolo, gli occhiali ancora nell’astuccio, ed è stato esattamente in quell’istante che ho capito di aver perso la mamma che avevo, e di doverne trovare una nuova, una completamente diversa, spaesata, confusa.
Indagando mi sono resa conto che questo fenomeno, detto di “vagabondaggio” (detto tecnicamente “wandering”), è molto comune nella popolazione con diagnosi di Alzheimer. Abbiamo impiegato “ solo “3 ore a ritrovarla, ed era seduta sulla sedia di un piccolo bar, gli occhi persi nel vuoto, una sola frase ripetuta come una litania “ dove mi trovo.”
Sono stati attimi infernali, mi sono resa davvero conto che avrei dovuto combattere, esclusivamente con le mie forze, conto un mostro mangia ricordi, a fianco di una mamma bambina.
Sola, d’altronde tocca alle donne,no?
Spaventata , non lo nego.

Il caregiver, ha una funzione di grande rilevanza sociale , purtroppo troppo spesso ignorata è sottovalutata. Le ore di permesso a lavoro non bastano mai, i pannolini non sono mai troppi, lottare per ogni singola terapia che ci spetta. Ogni giorno è sempre un po’ peggio, e ogni giorno spetta sempre una carta legale da portare, e l’aiuto scarseggia, e ci si sente persi e soli.
Attualmente in Italia le persone complessivamente affette da demenza sono stimate in un milione, di cui circa 520.000 malati di Alzheimer. Di questi, circa l’80 % è assistito direttamente dai propri familiari e, spesso , ci sono effetti devastanti sul caregiver e sulla rete familiare.

È stato scientificamente provato che i caregiver, in relazione al proprio ruolo , potrebbero soffrire di condizioni di forte stress, proprio per questo è urgente affermare che sono troppo pochi i servizi di orientamento, supporto, mutuo aiuto attivati da Enti locali virtuosi, e ci si imbatte in una situazione di assistenza in totale solitudine e perlopiù privo di conoscenze tecniche in molti casi essenziali: come fare l’igiene, come alimentare, come mobilizzare, come fare siringhe.


E, troppo frequenti , sono i casi in cui il caregiver, per far fronte alle avversità, abbandona il proprio lavoro, con conseguenze drammatiche per la propria vita, e quella dei propri familiari

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