Elaine May o del talento femminile di cui forse non vi siete mai accorti – ed è il caso di rimediare

Forse non tutti sapete o ricordate chi sia Elaine May. Eppure, senza di lei, il mondo del cinema sarebbe di certo un bel po’più povero, dato che ha scritto e diretto alcuni tra i film più belli e sottovalutati degli anni’70 nonché contribuito sostanzialmente al successo altrui col proprio lavoro non accreditato su altre pellicole più famose. Ma cercherò di andare con ordine.

Elaine May, nata Elaine Berlin, a Philadelphia, il 21 Aprile del 1932, fin da piccola sale sul palcoscenico col padre Jack, autore e attore di teatro yiddish, che muore quando lei ha 11 anni. Trasferitasi a Los Angeles con la madre, ancora adolescente si sposa, con Marvin May; il matrimonio, da cui nasce la figlia Jeannie Berlin, è presto in crisi ed Elaine parte per Chicago assieme a una compagnia teatrale di Los Angeles di cui fa parte. Qui, dove frequenta anche l’università, incontra Mike Nichols – dopo una iniziale diffidenza reciproca, lui si avvicina per parlarle per la prima volta nel 1954, nella sala d’aspetto di una stazione di Chicago, improvvisando uno sketch in cui lei si inserisce senza battere ciglio – e i due diventano grandi amici. In seguito, in tempi diversi, entrambi entrano a far parte della compagnia teatrale Compass Players (poi Second City Company). In seguito allo scioglimento della compagnia i due, con l’aiuto iniziale di Jack Rollins, che li ha notati, fondano il leggendario duo di improvvisazione teatrale “Nichols and May”, attivo con enorme successo dal 1957 al 1961, considerato tuttora un esempio di comicità geniale, che ha influenzato considerevolmente il lavoro successivo di moltissimi altri artisti. Il duo si scioglie per volere di Elaine, che ha il desiderio di dedicarsi ad altro. Nichols, inizialmente smarrito, troverà presto e quasi improvvisamente la sua nuova e decisiva strada come regista, dirigendo “A piedi nudi nel parco” a teatro, con un giovane Robert Redford come protagonista. Sarà solo l’inizio della sua carriera, in cui dirigerà grandi successi oggi famosi in tutto il mondo, come “Chi ha paura di Virginia Woolf?”, “Il laureato”, “Silkwood” e molti altri.

Nichols and May nel 1961.

Quando, nel 1968, firma con la Paramount Pictures per scrivere, dirigere ed interpretare, accanto a Walter Matthau, il suo primo film, “A New Leaf” (in italiano purtroppo “È ricca, la sposo e l’ammazzo”), che uscirà solo tre anni dopo, la May sta ottenendo un contratto che a Hollywood nessun’altra donna si era sognata dai tempi di Ida Lupino. Incentrato sull’esilarante incontro tra due disadattati, il film prende le mosse dalla scoperta da parte del solitario e misogino milionario Henry (Matthau) di essere diventato povero. Improvvisamente in rovina, detestato da praticamente chiunque lo conosca nonché completamente inconsapevole di ciò data la sua pressoché totale assenza di empatia, insopportabilmente ingenuo, insomma tragicamente incapace di rapportarsi agli altri esseri umani, Henry non ha la più pallida idea di come tirare avanti nella vita ed è pure letteralmente terrorizzato dall’idea di dover lavorare. Dietro suggerimento del suo maggiordomo Harold (George Rose) – cui osa perfino chiedere se lavorerebbe per lui anche se non pagato, ottenendo la risposta che merita – Henry, per quanto sostanzialmente indifferente alle donne e al sesso come a ogni genere di relazione, decide di corteggiare e sposare una ricca ereditiera per poi ucciderla e così sistemarsi. Dopo una breve ricerca, trova il soggetto ideale in Henrietta (la May stessa), una professoressa universitaria di botanica timida e imbranatissima, nonché sola al mondo. I due si sposano ed Henry già in viaggio di nozze studia veleni e si appresta a liberarsi di lei, ma intanto il loro rapporto si evolve.

La versione originale di questa commedia – pur meravigliosa così com’è – aveva ben 80 minuti in più che la rendevano una commedia nera a tutti gli effetti, includendo un omicidio, ma l’avvicendarsi di persone diverse a capo della produzione e lo scarsissimo rispetto del lavoro della May, che non solo era alle prese con la sua opera prima ma cominciava a sviluppare un suo proprio originale stile in parte forgiato dalla sua esperienza di improvvisazione teatrale, hanno portato al drastico taglio del film e poi al suo licenziamento.

A new leaf.

Il secondo film di Elaine da regista, “The heartbreak kid” , che esce nel 1972 e vanta una sceneggiatura di Neil Simon, è l’unico dei suoi lavori a non essere stato funestato da contenziosi con la produzione. Si tratta di una commedia con risvolti tutt’altro che allegri, che andò bene alla sua uscita ma sarebbe stata probabilmente degna di un maggior successo rispetto a quello ottenuto fino ad oggi. Al centro del film c’è la vicenda di Lenny (Charles Grodin), ebreo newyorchese un po’smarrito sia come sposo che nella vita, che in viaggio di nozze s’innamora della bellissima e spavalda Kelly (Cybill Shepherd) e la segue come un sogno, abbandonando di punto in bianco in albergo la moglie Lila (Jeannie Berlin, figlia della May). Alla fine del film, costellato di dialoghi memorabili, non appare affatto scontato che il protagonista abbia trovato ciò che stava cercando, né che abbia una piena consapevolezza di che cosa fosse.

The heartbreak kid.

Seguì quello che, a mio parere, costituisce il capolavoro della nostra, “Mikey e Nicky” (1976), da lei scritto e diretto. Il film segue, nell’arco di una notte – personalmente ho un debole per i film ambientati nell’arco di una notte, ma non divaghiamo oltre – Nicky (John Cassavetes), malavitoso di basso livello la cui condanna a morte, da parte di un pezzo grosso della malavita cui ha pestato i piedi, è stata ormai decretata e Mikey (Peter Falk), il suo amico storico d’infanzia che conduce ormai una tranquilla vita borghese, nel loro vagare notturno per la città in attesa dell’inevitabile. Ambientata a Philadelphia – dove la May stessa ha raccontato di essere imparentata con elementi della malavita locale – l’ultima notte dei due vecchi amici è fatta di tempi dilatati, lunghi dialoghi e una grande tenerezza nel guardare al fallimento umano del loro rapporto, ma offre pure un punto di vista spietato su di una certa incapacità maschile di comunicare ed empatizzare. La May nel corso delle riprese ha lasciato un certo margine di improvvisazione ai due protagonisti e l’influenza di un gigante innovatore come Cassavetes si nota, ma lo sguardo sul mondo maschile è decisamente quello dell’autrice.

“Mikey e Nicky” costò molto più del previsto ed ebbe una lunga e laboriosa lavorazione, inoltre fu accolto male nelle sale in quanto presentato come una commedia ma essendo decisamente un film tragico e cupo. Per diversi anni, alla May non fu più offerto di dirigere un film.

Mikey e Nicky.

Poi, nel 1987, arrivò il disastro che sostanzialmente segnò la fine della sua carriera – e che, come ogni grande flop che si rispetti, portò con sé una buona dose di aneddoti surreali. Warren Beatty le doveva un favore in quanto “Reds”, il suo enorme successo come regista, attore e produttore, non sarebbe stato possibile senza di lei, che aveva contribuito sostanzialmente alla scrittura del film nonché alla sua post produzione. Fu così che lui decise di produrre “Ishtar”, da lei scritto e diretto, e interpretarlo assieme a Dustin Hoffman e Isabelle Adjani; lo fece nella sincera convinzione che la May – per inciso, una delle poche donne a Hollywood con cui Beatty non avesse mai avuto trascorsi sessuali, ma di cui aveva una stima mostruosa – possedesse talento e intelligenza ma non fosse mai stata affiancata da un produttore che la proteggesse e ne assecondasse la creatività. A capo della Columbia Pictures c’era Guy McElwaine, vecchio amico di Beatty, e lui lo convinse a impegnarsi; questo nonostante i suoi forti timori, dovuti alla fama di perfezionisti, eccentrici nonché artisticamente logorroici di cui godevano Dustin Hoffman, la May e Beatty stesso. “L’incubo della Columbia era avere tre dei talenti meno disposti al compromesso di Hollywood al lavoro sullo stesso progetto da qualche parte nel deserto del Sahara”, ebbe a dire una fonte vicina alla produzione.

Sì, perché “Ishtar” – peraltro contro il parere di Hoffman, che preferiva restarsene a New York – è stato in gran parte ambientato (e girato) in Marocco, dove i due protagonisti, due squattrinati amici innamorati di Simon & Garfunkel e decisi a conquistarsi il successo come duo musicale, approdano in un momento critico delle proprie vite. Il film, come il precedente, ha come punto di forza la scrittura dei due personaggi maschili. Spiantati, fuori posto, spersi nella società in cui vivono e ciascuno a suo modo in difficoltà nel rapportarsi alle donne – comicamente, il ruolo dell’imbranato con scarsa esperienza è riservato a Beatty – Chuck (Hoffman) e Lyle (Beatty) trovano un senso solo nella dedizione alla musica e, soprattutto, nella loro amicizia. Il tutto è mescolato alla satira politica, dato che il duo, una volta arrivato in Marocco, finisce in mezzo a un intrigo internazionale che coinvolge un’organizzazione ribelle locale nonché ovviamente la C.I.A. Il film è davvero divertente e originale, nonché a tratti profetico della futura politica americana in Medio Oriente; se non credete a me, dovete sapere che sono in buona compagnia, dato che recentemente è stato rivalutato da illustri autori del calibro di Martin Scorsese e Quentin Tarantino.

Il disastro che ne venne fuori però non concerne questo, bensì la mostruosa perdita economica causata dai vari dissapori sul set – tra Hoffman e May, tra Adjani e Beatty, tra May e Vittorio Storaro, poi tra May e Beatty – e da altre difficoltà e sfortune di ogni genere, dalla pericolosità di girare in Marocco in quel particolare momento storico a problematiche legate alle dune di sabbia e a ben undici bulldozer, fino al perfezionismo della May nel pretendere ad ogni costo un raro cammello dagli occhi blu (che doveva risultare cieco su pellicola), inizialmente trovato al mercato di Marrakech, non comprato subito e infine perso in quanto mangiato dal suo proprietario nel frattempo.

In tutto questo, non è chiaro quanto dell’eccentricità e irragionevolezza attribuite alla May corrisponda a realtà e quanto alle malelingue, una versione univoca della faccenda non esiste e soprattutto sono molti i personaggi notoriamente inflessibili e difficili di carattere coinvolti nella grottesca vicenda oltre a lei, compresi i suoi due protagonisti. Del film si cominciò a parlar male da prima che uscisse e alla fine, a vederlo davvero, furono in pochissimi, tanto che la May ebbe a dire che “Se tutte le persone che odiano “Ishtar” lo avessero visto, oggi sarei una donna ricca.”

Ishtar.

Riassumendo, abbiamo una commedia nera cui la produzione ha tagliato la scena dell’omicidio, un’altra commedia estremamente acuta che ad oggi conoscono in pochi, una straziante storia di amicizia maschile venduta come un film da ridere mal riuscito, un altro “buddy movie” più allegro, in chiave di satira politica, che, pur disseminato di intuizioni geniali, finì per essere un epico flop. Vien da pensare che, con ogni probabilità, un’artista poliedrica ed estrosa come Elaine May avrebbe potuto dare molto di più al cinema, se adeguatamente appoggiata dai suoi collaboratori e dalle produzioni, e comunque anche così meriterebbe un’attenzione e una fama ben più grandi. Per giunta, la sua contribuzione come sceneggiatrice a un altro film, “Such good friends” di Otto Preminger, risulta sotto lo pseudonimo di Esther Dale e quella come co-sceneggiatrice di alcune altre pellicole di grande successo come “Tootsie”, “Reds” e “Labyrinth” non le è stata accreditata.

Nonostante la stroncatura precoce della sua carriera sia vista da molti, oggi, come una conseguenza abbastanza evidente del maschilismo del mondo del cinema, che ha sempre accettato il perfezionismo e l’eccentricità del modo di lavorare di autori maschi, spesso addirittura esaltando queste caratteristiche, mentre a lei non ha sostanzialmente perdonato nulla, la May non si è mai lamentata esplicitamente di ciò. Tuttavia, un suo commento alle difficoltà nel mantenere il timone nel girare “A new leaf” ci offre qualche spiraglio sulla sua esperienza, nonché sul suo pensiero, riguardo al suo lavoro come artista donna.

“Parte della difficoltà con “A new leaf” fu dovuta al fatto che Walter [Matthau, NdR], il quale, per inciso, finii per adorare, mi chiamava Mrs. Hitler, oltre che in vari altri modi. Io non volevo terrorizzare nessuno, così la gente diceva, di me, “è una brava ragazza”. Dove sta il problema? È una brava ragazza. Il fatto è che, ovviamente, non ero una brava ragazza. E quando lo scoprirono, mi odiarono molto di più. Penso che sia questo che realmente avviene, in queste situazioni. Non è il fatto in sé di essere donne. È che, in quanto donna, la gente pensa che una voglia mostrare di essere una brava persona. Di non essere una da temere. Di non essere una di quelle donne che non sono brave donne. Ma alla fine, quando si arriva al dunque, sei pessima come qualunque tizio. Lotterai tanto quanto ti servirà per farti strada. Così penso che la fregatura per le donne sia che dovrebbero cominciare a essere toste da subito. Non lo fanno. Cominciano dicendo “Non aver paura di me. Sono solo una donna.” E non sono solo donne, sono tanto toste quanto i maschi. In questo senso credo di avere avuto problemi. Ma soltanto perché avevo un’aria tanto piacevole e innocua.”

Elaine May sul set di “Mikey and Nicky”.

Referenze:

A tilted insight, Robert Rice, The New Yorker, Apr 8, 1961.

‘Heartbreak kid’: Elaine May’s 2d Effort as Director Arrives, Vincent Canby, The New York Times, Dec 18, 1972.

Elaine May in conversation with Mike Nichols, Film Comment, July-August 2006 issue.

Madness in Morocco: The road to Ishtar, Vanity Fair, Jan 7, 2010, excerpt from: Star: How Warren Beatty Seduced America, Peter Biskind, Simon & Schuster, 2010.

To wish upon Ishtar, Richard Brody, The New Yorker, Sep 8, 2010.

Over schedule, over budget and overly ambitious: how Warren Beatty became the king of Hollywood flops, Adam White, The Telegraph, Nov 28, 2016.

Mikey and Nicky review – a neglected gem of 70s cinema, Peter Bradshaw, The Guardian, Jun 15, 2018.

How Elaine May deconstructed the Cassavetes man in Mikey and Nicky, Kai Perrignon, The Brag, Nov 13, 2018.

Throw a Problem at a Situation: The Films of Elaine May, Matt Carlin, Jan 22, 2019.

The Marvelous Ms. Elaine May, Manohla Dargis, The New York Times, Jan 21, 2019.

In ‘Mikey and Nicky,’ Elaine May Nails a Pair of Desperate Characters, J. Hoberman, The New York Times, Jul 2, 2019.

The Encyclopedia of Jewish Women.

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