L’Islanda oggi, dopo più di quaranta anni da quel giorno del 1975, è l’Eldorado di tutte le donne che vogliono rendersi libere e avere un trattamento assolutamente paritario agli uomini in tutti i campi lavorativi e sociali. Una reale società delle pari opportunità che, nell’ultimo periodo, sta avendo una forte inversione di marcia, dove le donne, forti e indipendenti, subiscono una percentuale di violenze altissima e assolutamente inaccettabile. Un percorso, quello dell’Islanda, durato più di quarant’anni che sta mostrando l’altra faccia della medaglia, fatta di violenza e femminicidio.
Ma, per capire fino in fondo le cause che hanno portato a questa incontrollata discesa verso il baratro, bisogna capire come la società islandese si sia evoluta in questi ultimi quattro decenni e quali sono le conquiste delle donne che fanno così tanta paura al maschio alpha.
Il 24 ottobre del 1975 a Reykjavík tutte le donne smisero di fare quello che stavano facendo da secoli e scesero in piazza a manifestare. Il 90% delle donne islandesi abbandonarono i fornelli e le lavatrici, lasciarono i figli con i padri, non andarono al supermercato e nemmeno a lavoro per manifestare contro la società maschilista che le relegava in ruoli atavici e patriarcali.
Come riporta La Stampa, i dati delle conquiste femminile avvenute dal 1975 in poi in Islanda sono sintomatiche di una vera e propria rivoluzione: La legge stabilisce che le aziende sono obbligate a pagare allo stesso modo donne e uomini, i congedi parentali di 90 giorni sono obbligatori sia per la madre che il padre, l’86% delle donne (cioè quasi tutte) ha un lavoro, il 66% ha una laurea, nei consigli di amministrazione il 44% è donna, in 20 degli ultimi 36 anni una donna è stata o presidente o premier, e in Parlamento 30 dei 63 deputati sono donna.
Ma, il cambio radicale di rotta si ha nel 1980 quando Vigdís Finnbogadóttir, donna, madre single e professionista, inizia il suo mandato come presidentessa dell’Islanda, rimarrà in carica fino al 1996. In questi 16 anni di attività la Finnbogadóttir si è fatta portavoce della dignità e del decoro della donna e del suo corpo, vietando rigidamente l’abuso anche solo passivo del corpo delle donne e della sua nudità, educando generazioni al rispetto della figura femminile e delle pari opportunità, dell’uguaglianza e dei diritti imprescindibili.
Un processo che non smette di evolversi, tanto che il World Economic Forum mette l’Islanda al primo posto nella garanzia di pari diritti e opportunità tra uomo e donna, classifica questa che però mostra una totale inversione di marcia nell’abuso della violenza sulle donne. Come già detto, tantissimi sono i casi di violenza perpetrata ai danni delle donne in questo paese che può sembrare, invece, un paradiso. Ma perché l’uomo sente il bisogno di rifarsi fisicamente su una donna in un paese che garantisce le stese opportunità a prescindere dal sesso di appartenenza e allo stesso orientamento sessuale?
Questo è stato definito “Paradosso Nordico”. Paradosso perché la matrice della violenza di genere è spesso data dall’assunto che solo la disparità tra uomo e donna possa generare la violenza sul sesso definito debole. Nel paesi del nord Europa (e quindi non solo in Islanda, ma prendiamo questa nazione come caso simbolo) le donne vivono in condizioni di totale parità e quindi la violenza non dovrebbe essere assolutamente contemplata.
I professori Gracia (professore di psicologia sociale all’Università di Valencia) e Merlo (docente di epidemiologia sociale all’Università di Lund), in uno studio pubblicato nel novembre del 2017 sulla rivista Social Science & Medicine riportano che il 30% delle donne del Nord Europa hanno subito violenze domestiche e sul posto di lavoro. Secondo i due scienziati il tutto è riconducibile alla tanto diffusa cultura dello stupro che ha radici profondissime nella cultura non solo europea ma mondiale. Uno stereotipo questo così tanto radicato da essere addirittura confuso con i doveri di una donna.
Tantissime sono le ipotesi fatte in merito e la più interessante, a mio avviso, è quella della volontà delle donne nordeuropee di denunciare le violenze subite. Se una donna italiana, con ogni probabilità, ci pensa due volte prima di denunciare una violenza domestica oppure avvenuta sul posto di lavoro, poiché le leggi in merito alla denuncia e alla sicurezza della pena sono tutt’altro che certe, nel nord Europa, le donne si sentono più sicure nel denunciare queste violenze, perché supportate da leggi chiare, specifiche e, soprattutto, conquistate dalle stesse donne che sono scese in piazza affinché tutto ciò potesse essere realtà.
Sempre Gracia e Merlo ipotizzano che un altro stereotipo sia intervenuto nel picco di violenza ai danni delle donne nordeuropee, cioè la volontà dei maschi di dimostrare la loro virilità messa in discussione in maniera significativa in trent’anni di lotte e conquiste femminili. Ci sarebbe, quindi, alla base di queste violenze una sorta di vendetta nei confronti dell’indipendenza e della forza femminile.
Per dirla con le parole della teorica del femminismo Luisa Muraro, alla base di questo paradosso ci potrebbe essere non una reale conquista ma una sorta di pinkwashing che permette alle donne che piacciono agli uomini di prendere sempre più potere, e di dipingere con una passata di rosa quelle istituzioni tradizionalmente appannaggio maschile