Il 20 luglio si festeggeranno i cinquant’anni dalla storica missione che portò l’uomo a calpestare il suolo lunare. Nel 1969 quell’impresa fu il culmine della guerra alla conquista dello spazio che contrapponeva i due blocchi della Guerra Fredda, capaci di vedere anche in questa nuova frontiera un modo di rinnovare una rivalità indomita. Oggi, dopo cinque decenni, ci ritroviamo a celebare questa inarrivabile conquista, ricordiamo i nomi di Armstrong e Aldrin, rievocheremo le parole con cui Tito Stagno ci raccontò quel primo passo sul suolo lunare, e ci sentiremo nuovamente stimolati a tornare là, fra le stelle.
Ma non dimentichiamo che il percorso per posare quel piede fu incredibilmente lungo, e che non furono solamente uomini temerari a rendere possibile la realizzazione di quel sogno. Chissà quanti in questa celebrazione ricorderanno una figura fondamentale come Katherine Johnson, che oggi a centoun anni suonati può ricordare quei giorni gloriosi senza scordare quanto sia stato complicato per lei affrontare le sfide personali di un’America profondamente ingiusta.
Katherine Johnson è un nome poco noto alla gran parte delle persone, che forse la conoscono per aver visto Il diritto di contare, film di qualche anno fa in cui si raccontava la sua storia. Eppure, il ruolo della Johson per la riuscita della missione lunare fu tutt’altro che marginale. Per comprendere la portata del suo lavoro, basta ricordare che fu la sua leggendaria maestria in matematica a calcolare la traiettoria per il primo volo spaziale con equipaggio americano (1959) e la finestra di lancio per la missione Mercury nel 1961. La Johnson divenne quasi un talismano per la NASA dell’epoca, al punto che quando vennero utilizzati i primi calcolatori elettronici per le missioni spaziali, astronauti come John Glenn rifiutarono di partire senza avere prima la conferma della bontà dei calcoli da parte della Johnson. Senza dimenticare come furono i calcoli e gli studi della Johnson sulle procedure di backup e sui diagrammi di navigazione ad esser centrali nel riportare a terra sani e salvi i membri della missione Apollo 13 (1970).
In un periodo in cui si iniziava ad intravedere la potenzialità dei calcolatori elettronici, una mente eccelsa come quella della Johnson era vista come il banco di prova finale per la validità dei calcolatori. E non è un caso se venne affidato proprio alla sua impeccabile professionalità il compito di calcolare la traiettoria dell’Apollo 11, per quella storica notte dell’estate del 1969.
Tralasciando l’ovvia ammirazione per la sua intelligenza, ad essere fondamentale è la tempra con cui Katherine Johnson ha raggiunto questi traguardi. Donna afroamericana di umili origini, la Johnson ha lottato sin dall’adolescenza per far emergere la sua mente incredibile. Nonostante una società retrograda e profondamente razzista che non accettava gente di colore nelle Università o che ancora millantava una presunta supremazia dei bianchi, questa donna inossidabile ha affrontato pregiudizi e angherie pure di raggiungere i propri obiettivi.
Nel periodo in cui l’avventura spaziale americana era ancora affidata alle menti affilate di calcolatori umani, la Johnson era parte di una squadra di operatori afroamericani battezzati coloured computer, i calcolatori di colore. Composto interamente da afroamericani, questo gruppo di scienziati era osteggiato da una mentalità razzista, che li costringeva a pranzare in stanze apposite, a non poter condividere spazi con i colleghi bianchi e a dover usare servizi igienici differenti.
Se già era complicato per una donna affrontare un ambiente di lavoro maschilista, per Katherine Johnson e le sue colleghe, tutto questo era aggravato dalla colpa di aver la pelle di un colore diverso. E poco importa se le loro menti incredibili erano essenziali ad una nazione in costante duello con un’altra superpotenza, l’Unione Sovietica, poco importa se i loro sforzi ed il loro ingegno furono essenziali per compiere quel primo passo storico, loro rimangono sempre rilegate nei libri storia come una appendice.
Quando il 20 luglio festeggeremo Armstrong, Aldin e tutti i coraggiosi astronauti che hanno sfidato l’ignoto per portarci tra le stelle, non dimentichiamo di ricordare le donne incredibili che hanno affrontato odio e razzismo sulla Terra per consentire a tutte le altre donne di scrivere la storia. Almeno oggi, dopo cinquant’anni, si sono meritate il diritto di contare.